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Oro: vince o perde contro mattone e azionario?

Data pubblicazione: 17 ottobre 2024

Autore:

TrueNumbers.it per Fineco Bank
Rappresentazione visiva dell'articolo: Oro: vince o perde contro mattone e azionario?
  • L’oro è un bene rifugio, è cresciuto molto nel 2024
  • Influiscono crisi internazionali e acquisti delle Banche Centrali
  • Ecco le quotazioni nel tempo, paragonate a mattone e azionario




Torna la febbre dell'oro, ecco chi ci guadagna

Anche gli Stati continuano ad accumulare, in 10 anni sono più che raddoppiate le riserve russe e cinesi


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Fonte: World Gold Council

Dati in tonnellate


La scienza economica (sempre che di scienza si possa parlare) è piena di miti, leggende metropolitane e fantasie. Uno di questi riguarda, per esempio, l’investimento nel mattone che sarebbe sempre un investimento sicuro, anche se, ormai lo sappiamo, non è vero. In questo articolo, invece, parliamo di oro che da millenni affascina i risparmiatori di ogni latitudine e che ancora oggi mantiene il suo fascino. Vediamo i numeri.


Dall’inizio del 2024 alla fine di settembre il valore dell’oro è aumentato del 28,2%, ovvero più di quello dell’indice più celebre, lo S&P 500, cresciuto del 20,3%, e molto più del Dow Jones, che è salito del 12,3%, cioè all’incirca come un classico portafoglio 60/40 (60% azioni e 40% obbligazioni), che tra gennaio e fine agosto ha realizzato un +12,2%. Ovviamente in questa crescita un ruolo lo rivestono le tensioni internazionali. Ma non è solo questo.


Sarebbe un errore guardare solo al breve e al brevissimo periodo. L’oro vince contro lo S&P 500 e il Dow Jones anche se si fosse investito nel metallo giallo a gennaio 2022 (+44,5% contro, rispettivamente, il +20,4% e il +16,4% dei due indici), ma perde se l’ottica è quinquennale. Dall’inizio del 2019 ha guadagnato il 106,9% contro il 128,9% del S&P 500. Questo gap di 20 punti percentuali diventa quasi di 70 punti se il confronto è decennale, con il settembre 2014, e in questo lasso di tempo anche il Dow Jones ha fatto meglio del metallo prezioso.


L’oro torna in testa se l’investimento è ventennale, +534,3%, contro il +406,5% dello S&P 500, perché durante il periodo di crisi tra il 2008 e il 2012 si è affermato proprio come bene rifugio catalizzando gli acquisti di fondi, risparmiatori e investitori professionali. Tuttavia negli anni precedenti, e in particolare alla fine dello scorso secolo, non aveva tenuto il passo delle azioni, al punto che in un’ottica trentennale l’oro ha guadagnato la metà del S&P 500, il 558,1% contro il 1.102,5%.


Il potere stabilizzatore dell’oro


Questi numeri indicano che, come per altre tipologie di investimento, l’esito nel tempo può variare anche molto, e che naturalmente la ricetta migliore rimane sempre la diversificazione. In quest’ottica l’oro è un elemento di stabilizzazione: ce lo dice il fatto che gran parte degli undici anni su 30 in cui il suo rendimento annuo ha superato sia quello dello S&P 500 che quello del MSCI World sono stati anni di crisi. Nell’ultimo, il 2022, il suo ritorno è stato negativo, dello 0,43%, ma gli altri due indici hanno visto un calo del 18,1%. Nel 2011, invece, il metallo prezioso ha avuto un rendimento dell’11,7% mentre S&P 500 uno del 2,11% e l’MSCI World uno negativo del 5,5%. 


Una cosa è certa, l’oro ha mediamente ritorni superiori a quelli del Real Estate. Persino negli Usa, dove l’edilizia se l’è cavata meglio che in Italia, il rapporto tra il celebre indice del mercato immobiliare Shiller Case Home Price Index e quello dell’oro non è mai stato così basso negli ultimi 40 anni, fatta eccezione per il 2010-2013 e per alcuni mesi del 2020. Significa che solo in questi brevi periodi sarebbe stato più conveniente investire nel mattone che in oro.


Il vero vantaggio dell’oro è che generalmente ha una volatilità minore; utile per chi ha un approccio prudente e vuole associare ai propri investimenti elementi anticiclici. Se infatti la correlazione tra i vari indici è sempre piuttosto positiva - quando sale lo S&P500 sale anche il Dow Jones - quella tra titoli azionari e oro spesso non lo è e anzi le direzioni che prendono sono differenti. Si è visto, come si è detto, nei periodi di crisi, ma anche in quelli “normali”. A fare in parte eccezione sono gli ultimi due anni, durante i quali oro e Dow Jones sono stati entrambi in crescita. Perché? Hanno contato, come detto, le crisi internazionali ma anche le aspettative di un taglio dei tassi di interesse che rendono l’oro più appetibile soprattutto se comprato in valuta diversa dal dollaro. Ma c’è di più.


L’Italia è terza al mondo per entità delle riserve auree


A muovere al rialzo le quotazioni dell’oro sono anche gli acquisti delle Banche Centrali, alla ricerca (anche loro) di un asset che tende a non deprezzarsi o a farlo meno di altri, grazie alla propria intrinseca scarsità e all’assenza di deterioramento fisico nel tempo. Questo è particolarmente importante in caso di crisi e/o di alta inflazione. Ma per uno Stato sovrano comprare oro serve come garanzia per ottenere un prestito, ovvero per emettere titoli di Stato (che rappresentano un debito dello Stato verso gli acquirenti). Inoltre l’oro, a differenza di un titolo di debito, non può fare default, è per definizione solvibile, non è stato emesso da nessuna istituzione e in caso di necessità è sempre disponibile, come bene fisico, per i creditori.


È anche per quest’ultimo aspetto che l’Italia detiene così tante riserve auree: come si vede nel nostro grafico, il nostro Paese è il terzo al mondo per oro posseduto, con 2.451,8 tonnellate che valgono 183 miliardi e 744 milioni di dollari (dati di luglio 2024), il quarto se consideriamo anche quanto detenuto dal Fondo Monetario Internazionale (2.814 tonnellate). In ogni caso è italiano il 6,8% delle riserve mondiali, una quota più che tripla di quella del nostro Pil su quello globale.


Al primo posto sono gli Stati Uniti, con 8.133,5 tonnellate, per un valore di 609 miliardi e 528 milioni di dollari, seguite dalla Germania, 3.351,5 tonnellate, ovvero 251 miliardi e 166 milioni. Dopo l’Italia, a brevissima distanza troviamo la Francia, la Russia e la Cina, rispettivamente con 2437, 2.335,9 e 2.264,3 tonnellate ciascuno. Una differenza fondamentale tra le riserve auree cinesi e quelle italiane, però, è che le prime costituiscono solo il 4,9% delle riserve complessive del Paese mentre nel caso italiano l’oro costituisce il 68,3% del totale. Tutti gli altri Paesi hanno riserve inferiori alla metà di quelle cinesi, per esempio la Svizzera, con 1.040 tonnellate, e poi India e Giappone, con 846,2 e 846.


Ci sono poi Stati che rispetto alle dimensioni di popolazione ed economia detengono molto poco oro, sono quelli che hanno, per esempio, fondi sovrani o che puntano maggiormente su riserve valutarie. È il caso dell’Indonesia, che ha solo 78,6 tonnellate, dell’Australia, 79,9, della Corea del Sud, 104,4, ma anche del Brasile, con 129,7 tonnellate. C’è poi la quota della BCE, cui i Paesi dell’area euro hanno conferito oro, nel complesso ne detiene 506,5 tonnellate.


Russia, Cina, Turchia, Polonia e India guidano la nuova corsa all’oro


Questi numeri sono il risultato dei cambiamenti intervenuti nel tempo, c’è stato un continuo incremento delle riserve auree mondiali, che però non hanno riguardato l’Italia, ferma da decenni sugli stessi livelli, bensì soprattutto i Paesi emergenti o quelli in difficoltà. Negli ultimi 10 anni, tra il secondo trimestre 2014 e il luglio 2024 sono state acquistate o prodotte (alcuni Paesi hanno enormi miniere) 4.669,1 tonnellate di oro, contando il saldo tra acquisti e vendite, ovvero quasi il doppio di tutto quello detenuto dall’Italia.


La maggioranza degli aumenti ha riguardato Russia e Cina, con 1.241,1 e 1.210,2 tonnellate in più a testa. Mosca ha incrementato ogni anno le proprie riserve di diverse decine di tonnellate, con picchi tra il 2014 e il 2019, quando sono cresciute anche di più di 200 all’anno. La ragione, all’indomani dell’annessione della Crimea e delle prime sanzioni occidentali, era disporre di uno strumento che potesse sostituire la valuta straniera, che servisse per pagare le importazioni e come bene da esportare, magari al posto di gas e petrolio. Per la Cina le motivazioni sono simili, ovvero l’esigenza di essere meno dipendenti da asset in dollari, come titoli americani o valuta, di fronte alle tensioni internazionali. I maggiori aumenti delle riserve cinesi sono avvenuti nel 2015, +708,2 tonnellate, e nel 2022, +224,9.


Differenti le ragioni della Turchia, che in 10 anni ha acquistato (o prodotto) 472,6 tonnellate, con picchi nel 2019 e nel 2022 ed è anche tra i maggiori acquirenti del 2024, con 48,5. È la necessità di proteggere la propria moneta in caduta libera attraverso il possesso di oro che può servire per acquistare dollari da poi vendere per rafforzare la lira turca. È quello che è successo nei mesi precedenti alle cruciali elezioni del 2023, per esempio.


Oltre alla Turchia nei primi sette mesi sono stati anche Polonia India tra i maggiori acquirenti di oro, quelli che hanno contribuito al rally del suo prezzo. Alla base della strategia dei due Paesi l’esigenza di proteggersi in caso di un’eventuale esclusione dai mercati finanziari internazionali, come esplicitamente affermato dal Governatore della Banca Centrale polacca, che ha comprato 33 delle 208,2 tonnellate acquistate nel mondo da gennaio, dopo avere già aumentato di 130 tonnellate le proprie riserve nel 2023. Nel caso dell’India (42,6 tonnellate in più quest’anno), invece, si parla ufficialmente di diversificazione, che infatti sta portando la Banca Centrale del Paese ad accumulare anche valute diverse dal dollaro, ma secondo gli analisti pure in questo caso sono le tensioni geopolitiche alla base della corsa all’oro.

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Giuseppe Orza

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